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Non smettere di sognare

E’ diventato ormai un personaggio carismatico Sergio Anfossi, nato a Fossano il 23 agosto del 1961. Ha realizzato tanti importanti progetti circa lo sport per disabili e ancora ne continua a portare avanti. Fondatore e presiede un’associazione che si occupa di sport senza ostacoli, avvicina allo sport tante persone, soprattutto giovani, che come lui sono rimaste vittime di incidenti; fa opera di prevenzione nelle scuole circa la sicurezza stradale, ha portato il tennis in carrozzina, e l’handbike in Piemonte quando ancora nessuno lo aveva fatto. Noi abbiamo voluto farci raccontare proprio da lui il cammino travagliato ed emozionante della sua vita. Una vita piena di sogni.

Ero molto piccolo quando i miei genitori decisero di separarsi e cosi io e mamma siamo tornati a vivere nella frazione di Fossano (CN), Cussanio, in casa dei miei nonni materni.

La mia non è stata un’infanzia facile, la separazione di una coppia in quegli anni era vista come uno scandalo ed io ne ho sofferto sopratutto per il dolore che alleggiava ogni giorno nel cuore di mia madre. Mi pesava la solitudine e l’isolamento così in quegli anni ho  maturato un carattere forte e determinato che, allora, non potevo immaginare nel corso della vita, poi, mi avrebbe aiutato a superare un ostacolo grande come la disabilità. Ho portato a termine i miei studi conseguendo il diploma di Perito Agrotecnico nel 1980 e subito ho iniziato a lavorare nel campo avicolo come dipendente ed è stato subito amore. Dalla voglia di essere imprenditore e avere un’azienda agricola tutta mia ha generato il mio primo sogno:  sviluppare un progetto nell’azienda dello zio, un progetto che consisteva in tre capannoni avicoli con una capienza di 60.000 capi.

Progetto decollato nel ’90 col primo capannone che sarebbe stato completato nel settembre ’93 se non fosse accaduto l’incidente a rovinare e interrompere quelle mie prime, modeste, ambizioni”.

Com’è avvenuto l’incidente che ti ha reso paraplegico?

L’incidente è accaduto nel 1993, venerdì 23 luglio, ad un mese dal mio 32 esimo compleanno. Ricordo quel tardo pomeriggio afoso come fosse stato ieri; mi sono calato in un silos di 7 metri. Dovevo eseguire un lavoro al suo interno, al termine sono risalito con l’ausilio di una corda, ma appena messo fuori il capo e respirato aria meno pesante, sono svenuto. Le mie mani hanno lasciato la stretta che esercitavano sulla corda così sono caduto giù a peso morto, mi sono inarcato nell’imbuto del silos provocando uno schiacciamento al bacino con l’esplosione della prima vertebra lombare,  provocando il danno midollare e conseguenza paralisi agli arti inferiori”.

E poi Sergio è tornato a “vivere” nonostante la limitazione fisica e continuando ad inseguire i suoi innumerevoli sogni. Lui continua a raccontarci…

Devo tornare indietro con la mente a vent’anni fa per ricordare che in ospedale a Cuneo ho sempre pensato di aver fatto un brutto sogno e che il giorno dopo mi sarei svegliato con tutto il mio corpo in funzione; ma a Marsiglia il Professore che ha effettuato il mio secondo intervento è stato molto chiaro, paralisi permanente, in quel momento mi sono sentito crollare il mondo addosso. Ho avuto sedici giorni difficili e molto dolorosi nel post intervento. Ma all’arrivo nella clinica riabilitativa non lontana dall’ospedale qualcosa è cambiato. In quell’ambito ho capito di essere stato in qualche modo fortunato poiché ho conosciuto tanti ragazzi con lesioni molto più gravi della mia, con notevoli limitazioni e li ho ringraziato davvero il buon Dio per avermi lasciato ancora l’uso del mio tronco delle braccia e delle mani. Quello è stato l’ input ed ho iniziato a reagire positivamente, anche perché le strade erano solo due, o togliermi la vita o viverla; ed ho scelto di viverla perché consapevole che la vita è un dono troppo prezioso per essere sprecato.”

Sergio Anfossi ha incontrato nel suo nuovo “cammino” tanti ostacoli e tante barriere, quelle strutturali e quelle mentali, ma uno dopo l’atro le ha superate.  Nel 2011 un grosso passo avanti per riprendere gran parte della sua autonomia, Sergio l’ha fatto grazie a Genny (la carrozzina innovativa ispirata a Segway) “Con GENNY sono tornato a passeggiare sul bagnasciuga,- ci dice entusiasta –  sulla spiaggia, sotto la pioggia tenendo stretto in mano un ombrello, oppure tenendo per mano una persona cara e ancora, tenendo in mano un buon gelato, fare la spesa spingendomi il carrello e molte altre cose ancora”,

Che rapporto hai con lo sport? Il tuo legame con la P.a.s.s.o., la Polisportiva senza ostacoli che hai fondato?

“Ho sempre amato lo sport, e prima dell’incidente praticavo sci, tennis, motocross e successivamente enduroDopo l’incidente mi sono avvicinato a una palestra in Fossano, che in quegli anni era l’unica accessibile per una sedia a rotelle, ho iniziato a irrobustire muscoli del tronco e braccia per acquisire più autonomia. Nel 1995 ho saputo che altri ragazzi paraplegici s’incontravano a Dronero (CN) per giocare a basket. Sono andato a vedere per conoscerli e giocare con loro e nel ’96 dopo aver conosciuto l’Avvocato Mario Rosso, abbiamo deciso di formare e costituire un’Associazione per lo sport così nello stesso anno è nata la P.a.s.s.o. Cuneo (Promozione attività sportiva senza ostacoli). La P.a.s.s.o. è la  mia creatura, mi ha sempre dato molto, dalla possibilità di praticare il tennis in sedia a rotelle fino ad approdare nell’handbikeNon ero ancora il Presidente della Polisportiva quando nel 2005 proprio per il mio forte desiderio di far conoscere e praticare lo sport senza ostacoli a quanti più ragazzi potevo, ho deciso di svolgere a Cussanio (CN) la prima gara di handbike. E’ stata un’emozione indescrivibile, sono riuscito a raggruppare 27 atleti che hanno commosso tutti gli spettatori; la ricordo come la gara  più bella, conclusa con una volata incredibile proprio sotto gli occhi del mio pubblico, parenti amici e conoscenti  mettendo dietro di me ciclisti ora di fama mondiale come Podestà, Cecchetto e il mio compagno di squadra Gianfranco Pigozzo conquistando il secondo posto assoluto dietro allo svizzero Libanore. E’ stata una giornata memorabile, ho pianto cosi tanto nella notte, ma erano lacrime di gioia. I ricordi e l’emozioni di quel 28 agosto sono ancora scolpite nella mia mente e nel mio cuore. Adesso vado a cercare in ospedale i ragazzi paraplegici, soprattutto quando ne capita qualcuno della mia zona, dico loro che quando escono devo per forza provare l’handbike oppure una carrozzina per il tennis, devono rimettersi in pista e correre di nuovo… sul circuito della vita!”

Il presidente della Polisportiva cuneese è anche innamorato dell’Africa, di una parte del continente sahariano che lui chiama “La mia Africa”. Ci racconti la tua Africa? Quando ci sei stato la prima volta e come è riuscita a catturarti?

“La passione per i viaggi nasce insieme a quella per i motori, già da piccolino ero affascinato dalle auto e dalle moto; ed ero affascinato dalla mitica Parigi Dakar. La seduzione di attraversare quelle immense distese di sabbia, solcare le dune, galleggiarci sopra e poterlo fare con la mia moto era un grande sogno che ho coltivato per tantissimi anniLa vita però è bizzarra e imprevedibile, Il giorno dell’incidente nel silos ero passato da un rivenditore di moto e avevo comprato l’Africa Twin 750 con preparazione Parigi Dakar e pochi mesi dopo sarei dovuto partire per un viaggio con amici per andare a esplorare le dune nel deserto del Marocco. Avevo inseguito quel sogno per anni e in quei giorni stava assumendo le sue forme. Quel giorno prima della frattura spinale avevo vissuto una gioia e l’emozione indescrivibili come quelle di un bambino quando riceve il regalo da lui più desiderato. Ma è stato un piacere effimero, durato lo spazio di un pomeriggio, ero ignaro di ciò che sarebbe successo poche ore dopo e navigavo con la mia mente attraverso quei magici paesaggi in terra Africana. Quel sogno  infranto è stato la delusione il dolore più grande che ho vissuto, insieme alla perdita dell’uso delle gambe”

Il motto che contraddistingue l’atleta fossanese – non smettere di sognare – a questo punto calza proprio a pennello, infatti, Sergio, dopo l’incidente ha continuato a sognare e nel 1998 gli si è presentata l’occasione di fare un viaggio in Marocco con il cugino Luca. Un viaggio durato 31 giorni dove Anfossi ha percorso 8500 km raggiungendo Casablanca, Marrakech e poi giù al sud verso le porte del deserto: Zagora.

Sergio adesso ha gli occhi lucidi mentre racconta: “A Zagora ho potuto respirare quell’atmosfera magica e unica che solo una distesa di sabbia ci sa regale; ero li come nel nulla avvolto da un silenzio surreale, con magici colori e le sfumature dell’alba e del tramonto, ed ho vissuto momenti intensi ed emozionanti. Avevamo realizzato, con mio cugino, un bivacco tra le dune, poi sono sceso dall’auto e portavo con me una borsa con dentro l’abbigliamento da endurista; l’ho indossato sulla carrozzina e mi sono buttato a terra dalla mia sedia a rotelle. Con la sola forza delle braccia ho iniziato a scalare una duna e dopo circa 45 minuti ne ho raggiungo la vetta; è  indescrivibile il sentimento vissuto in quel momento nel quale ho alzato le braccia al cielo e sono scoppiato in lacrime. Non comprendevo il sapore di quelle lacrime, erano forse di delusione, di tristezza e amarezza per non aver potuto sfidare quella sabbia con la mia moto, ma erano, soprattutto, lacrime di gioia e di felicità per aver avuto ancora la possibilità di giungere su quella vetta anche senza l’uso delle gambe”.

Mai smettere di sognare, mai smettere di coltivare un sogno, solo cosi un giorno quel sogno potrà trasformarsi in realtà. Ed è vero!

Quel viaggio – continua Sergio – mi ha rapito il cuore; successivamente sono tornato in Africa nel 1999 a Marzo e Ottobre. E poi ancora nell’estate 2003 con due fuoristrada e sei amici, raggiungendo le spiagge bianche di Tan Tan, le montagne di Tafraut, dal deserto di Zagora a quello di Merzouga al confine con l’Algeria. Impossibile non innamorarsi di quel paese pieno di colori, paesaggi. Mi catturava il calore della gente entrando in quei villaggi sperduti, con i bambini che assaltavano le nostre auto per una penna, una maglietta, un biscotto e poi i loro sguardi, i loro sorrisi… sono tutti ricordi stupendi e indelebili. Dall’inverno 2003-04 ho iniziato a trasferirmi in Marocco ed esattamente nella città di Agadir, per trascorrervi il periodo invernale, al caldo, dove potevo e posso effettuare  la preparazione agonistica con l’handbike su strada e vivere così all’aperto”.

E le donne? Quest’universo fantasmagorico…hai la fama di latin lover lo sai? Qualcuna è mai riuscita a prenderti il cuore e finalmente a essere non più “Amica”?

Bella questa domanda, complessa la risposta come complesso è l’universo femminile. Il rapporto che ho avuto con la donna prima del mio incidente penso sia stato quello che può essere la normalità di un rapporto a due. Alcuni anni dopo l’incidente ho sentito il desiderio di conoscere più a fondo questo magico universo e così è iniziata la mia ricerca, cambiando alcuni parametri sulla mia vita sono cambiati anche molti obiettivi, desideri, piaceri, vivere bene e sereni è possibile se si percorre la giusta strada. Avere la fama di latin lover ora che vivo sulla sedia a rotelle è  una cosa che mi lusinga e mi fa piacere. Ciò significa che un uomo, anche con una limitazione fisica, può continuare ad avere una vita relazionale piena, se sa come rapportarsi. Una donna, la più importante, – ma Sergio non ci dice chi – è entrata nella mia vita nel mio periodo più buio, ha saputo rubarmi il cuore e l’anima, mi ha dato un aiuto enorme per raggiungere la consapevolezza di poter essere in grado ancora di dare molto in un rapporto a due, mi ha fatto comprendere e credere ancora nelle mie forze, nella mia volontà, nella mia voglia di vivere nella mia voglia di sognare. Purtroppo anche le cose più belle però possono finire, ma questo per me non è importante, importante sono le tante emozioni e le vibrazioni che si vivono solo amando e queste vanno scolpite dentro il nostro cuore, sono questi ricordi a farmi sorridere e raccogliere speranza in momenti più difficili che si incontrano nel corso della vita. Di certo il modo di vivere la mia vita e trascorrere cosi tanto tempo in terra marocchina non rende le cose facili quando si vive rapporto, ma io sono “egoista” e di conseguenza miro principalmente ad avere il meglio per la mia vita, la salute, il morale e tutto questo so che lo posso trovare solo ad Agadir. Per amore di questa terra calda e aspra ho rinunciato a vivere con un’altra persona un momento bello, nel quale mi sentivo gratificato solamente vedendola sorridere, felice, serena. Il tuo impegno nell’organizzare gare di Handbike internazionali e portarle nella tua Fossano, ce ne parli.

“Sogni, sempre sogni. Sono il pane della mia vita. Era un sogno avere una gara importante nella mia città. Ci sono riuscito nel 2005 con la prima gara che organizzai in frazione Cussanio, modesta e semplice. Poi ho curato maggiormente l’organizzazione e nel 2009 ho portato la partenza della gara proprio nel centro storico di Fossano in occasione del Campionato Italiano Assoluto.  E’ stata dura, tante persone non erano d’accordo sulla mia scelta, ma io ci credevo tanto e l’ho spuntata, così è stato un vero successo. Poi negli ultimi anni ho sempre portato a Fossano una Tappa del Giro d’Italia Handbike. Nel 2012 un’altra scommessa: aggiudicarmi per la mia città una tappa dell’ EHC circuito Europeo: Quest’ultimo impegno organizzativo è stato molto faticoso perché ero rientrato dal Marocco in Aprile ho perso del tempo prezioso per correre dietro alla mia salute, il dolore alla spalla, una piaga e l’intervento di colecistectomia. La gara si correva in Luglio ed io ero sfinito e poco entusiasta, ma quell’appuntamento era troppo importante perché fallissi. Ho riesaminato il percorso portando il circuito tutto in città, ho fatto addobbare a festa dal Comune il centro storico per accogliere i campioni provenienti da tutta l’Europa, per le due giornate di gara. E alla fine è stato un successo ricevendo i complimenti poi da persone come Roberto Rancilio Presidente dell’EHC, dell’atleta organizzatore della tappa Francese e da atleti partecipanti che mi hanno gratificato e ripagato a pieno per le energie profuse. Una vittoria personale è stata la soddisfazione di aver portato ne mondo dell’handbike il nome della P.A.S.S.O. in Europa. Alla conclusione della manifestazione del 2012 il mio carico di stress e il dispendio di energie mi avevano prosciugato, sono rientrato a casa pieno di brividi e con quasi 40 C di febbre per alcuni giorni, ma ne era valsa la pena!”

“Quest’anno ripeterò lo stesso appuntamento ma mi sento  più tranquillo, i percorsi ormai sono collaudati e anche la sicurezza sulle strade non mi preoccuperà più così”.

Sogni e speranze per il futuro?

“La speranza più grande è quella che il mio dolore alla spalla, che ormai mi accompagna da un anno, mi dia un po’ di tregua ed io passa godermi totalmente la mia nuova CARBIDE (Hnadbike) dalle prestazioni eccellenti, peccato non averla avuta negli anni passati quando ero più in forma e più giovane.

I sogni? Ne ho sempre tantissimi che popolano la mente. Vorrei portare una gara di handbike qui in Africa, magari proprio una tappa dell’EHC nella città che mi ha adottato: Agadir; sarebbe una bella opportunità d’integrazione, socializzazione e di riscatto per tanti disabili dei paesi in via di sviluppo e con questo mi congedo, temo di aver sproloquiato. E ti ringrazio per l’intervista. Saluto quanti la leggeranno e come dicono qui “INCHALLA”.

Grazie a Sergio Anfossi

Dorotea Maria Guida

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Posted by redazione web on mar 2 2013. Filed under atleti, featured, interessanti, manifestazioni, news. You can follow any responses to this entry through the RSS 2.0. You can leave a response or trackback to this entry

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