Una Paralimpiade con… le ruote sgonfie.
Sgombrando subito il campo da qualsiasi sospetto di campanilismo, il punto non è certo quello che l’Italia potrebbe essere fra le nazioni (se non La nazione) a perderci maggiormente. L’assenza del Paracycling ai Giochi di Tokyo 2020 lungi dall’esserlo per i colori azzurri sarebbe un danno enorme per tutti i paesi e, ancor prima, per l’intero movimento. Magari fra sei anni Zanardi sarà già andato sulla luna (laureandosi campione interplanetario e satellitare di balzi wheelchair fra i crateri), Macchi avrà già riposticipato per la sessantaquattresima volta l’idea di rirtirarsi perché tanto non ci crede nessuno (e nessuno, soprattutto, lo vuole), Podestà sarà già diventato ministro europeo per lo sport (magari…), i campioni in erba di Mario Valentini saranno già sazi, Mazzone sarà passato al terzo sport della carriera con risultati straordinari, Triboli sarà ormai bisnonno, quindi… Sono solo nomi buttati qua e la, volutamente cito solo quelli con cui so di poter scherzare (ah, il buon Mario invece sarà a quota 35000 titoli iridati vinti da ct), la “sparata” mi serve solo per dire che l’ipotesi di una edizione nipponica della rassegna paralimpica senza il nostro sport non può nemmeno essere concepita. Perché? Perché attrae le masse, e già non è poco, basta guardare alla partecipazione in termini di pubblico (educato per giunta) lungo il percorso a tutte le gare di spicco delle ultime due-tre stagioni, e anche a quelle meno illustri. Perché attrae nuovi atleti, in un trend continuo e, credo e spero, inarrestabile, e questo è tanto, perché sforna parabole di uomini e donne, prima che di sportivi e
sportive, a getto continuo. E questo è tantissimo. E, non a caso, perché ormai ha invaso ogni angolo del globo, basta dare un’occhiata alle starting list più recenti, fate un po’ il conto delle “bandiere”. Perché, ancora, porta su strada bikers di un ampio spettro di età, campioni già affermati che cambiano disciplina in cerca di nuovi stimoli, allievi assetati di imparare come correre per sé e contro gli altri, secondo le più sane regole delle competizioni anche caotiche e “maschie”, autentiche icone dello Sport a 360 gradi (e qui, per par condicio, mi rifugio all’estero, vero Herr Frei o Herr Teuber?). Perché, infine, è spettacolo, attrazione, comunicazione, visibilità, capacità di attirare sostegno. Sì, anche soldi, ci mancherebbe, altrimenti prima o poi il volontariato e la passione davvero non riescono più a fare miracoli e le gare saltano. Insomma, non entro nemmeno nel merito di cosa possa essere o non essere successo a livello istituzionale per arrivare a una dimenticanza tale, tanto ormai è il segreto di Pulcinella. Dico invece che c’è quasi da essere contenti se si è trattato di un errore e non di una scelta, altrimenti potremmo anche rimettere tutte le handbike in solaio e darci in gruppo alla scala quaranta o al Texas Hold’em. Ma, c’è sempre un ma, un aspetto mi allarma, anzi, mi terrorizza. Da addetto ai lavori dall’ormai lontano ’96 credo di aver visto davvero tante cose, nel male e, per fortuna, soprattutto nel bene. Ecco, mi vengono i brividi proprio quando penso che chi di dovere, sapendo di aver perle mani un autentico gioiello, un patrimonio da gestire con la massima cura, ma COME PUO’ non rendersi conto che sarebbe più dignitoso dimenticarsi le chiavi di casa o dell’auto e vagare solitario nella notte invece di lasciarsi sfuggire un passaggio burocratico che anche mio figlio, a 9 anni, metterebbe come urgenza in agenda davanti al ricordarsi la merenda prima di andare a scuola. Lo dico da esterno, senza alcun tesseramento, non lo dico nemmeno da ex giornalista (o lo sono tuttora?), e neppure da italiano, lo dico da uomo di sport, da appassionato di sport, da sportdipendente. E da innamorato, questo sì, di un movimento che ho visto crescere, correggere, affinarsi e plasmarsi con tempi che mai avrei sperato. E mi rivolgo, in cerca di sostegno, a chi ha un ruolo ad alto livello, o dovrebbe averlo, riponendo la massima fiducia che ci sia tempo e modo per riparare l’errore. Darei qualsiasi cosa per essere ancora in qualche modo parte di questo mondo a Tokyo. Ma non so se avrei voglia di andarci con un
programma gare senza bici. Mi scuso con le altre mie “famiglie”, quelle del pallone a spicchi, della pista di atletica, del remo, dell’arco, della pedana e della maschera (mannaggia, mi piace davvero tutto…), ma la vivrei come una Paralimpiade con… le ruote sgonfie.
Stefano Silva
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